Lorenzo Gresleri, 1996 – “Frammenti e dintorni”
Premessa
L’approccio di osservazione e di commento ai lavori di Wanda Benatti tenta qui di trovare un proprio metodo di ragionamento che rifiuta a priori una conclusione critica per attivare invece l’avvio di un processo totalmente in divenire.
Tenta cioè di porsi come un sistema di commento aperto capace di ricevere in ogni punto della sua costruzione e in ogni fase del suo divenire nuovi apporti di critica e di ragionamento. Questo criterio non è tanto legato all’ipotesi storica che il processo pittorico in evoluzione possa portare altri punti d’osservazioni o altri motivi di critica, come infatti dovrà essere necessariamente, ma perché gli elementi che intervengono nella densità spirituale della sua produzione hanno talmente tanti input di natura diversa da permettere una continua aggressione di studio da punti di vista disomogenei e di diversa natura. Ci si riferisce con questo discorso ai contenuti di provenienza, di memoria e di presenza che sono tutt’insieme di natura emozionale, d’indagine psichica, di derivazione letteraria , di natura compositiva, dell’uso e della padronanza della materia, dell’intendere ogni colore fine a se stesso, ecc…E’ inevitabile che ciascuno di questi canali di immissione all’interno della pittura possa essere esaminato indifferentemente prima o dopo gli altri, inteso che nessuno di tali punti di osservazione è in grado di esaurire l’analisi critica come nessuno possa servire di apertura al discorso e tanto meno di conclusione. È come cioè se l’unico approccio d’osservazione e di commento si sviluppasse secondo un sistema a catena che descrive un cerchio chiuso dove nessun punto è prima o dopo il successivo e dove nessuno fornisce l’inizio e la chiusura del movimento. Nasce cosi la necessità, unica e possibile, di operare per frammenti, organizzando cioè un antologia di interventi critici fatta di flash e come buttati di volta in volta sul tavolo, in una composizione libera e aperta ove ciascuno e in ogni momento possa aggiungere nuove annotazioni, o sostituire via via alcune già presenti nel momento che l’indagine , a maggior profondità d’intuito, abbia potuto progredire ancora di un passo. La necessità della formula aperta per una qualsiasi sedimentazione dell’indagine critica è obbligata in questo caso proprio dal rapidissimo evolvere della produzione della pittrice per cui non esiste una formula che permetta il consolidarsi di una idea critica statica, ma ad ogni mostra o rassegna, ed a ogni quadro successivo non si può non riaffrontare il problema del come leggere l’opera e il momento e di come indagarne i contenuti spirituali.
Lo scienziato che pone occhio al microscopio viene precipitato entro un evento di profondo fascino nell’assistere ad una presenza viva di forme che si muovono lente ma con una forma ineluttabile generando ammassi, abbandonando dei vuoti, scorrendo e scivolando con entrate ed uscite continue dai quattro lati del campo con una variabilità incredibile dell’immagine visibile. Se interviene lo scatto della macchina fotografica inserita nel microscopio stesso ne risulta un immagine, congelata e assolutamente statica. Osservando questa peraltro l’occhio dello scienziato memore del tumulto vitale che ben ha conosciuto, non può che ricostruire inconsciamente il rapporto fra i due momenti e quindi rilegge nell’immagine statica i movimenti, la vitalità, le tensioni viste nel loro svolgersi nel tempo.appare cosi che anche nei quadri di W.B uno stato di movimento e di evoluzione delle forme che deriva dai rapporti energetici che coesistono fra di loro e che immettono nella composizione statica dell’oggetto pittorico delle situazioni in fieri e degli stati di energia potenziale provocatrici nello spirito di chi guarda di un senso che può solo definirsi di vitalità interiore. Il riferimento al microscopio ha un significato preciso nel suo assumere come propria regola una delimitazione di campo a quattro lati ortogonali, formanti perimetro quadrato , di estrapolare da una continuità di movimento e di presenza molto più amplia una particella limitata per poter assistere alle traiettorie che l’attraversano e concentrare la propria attenzione su momenti puntuali dell’universo dei movimenti che il campo generale presenta, avendo scelto, appunto, una direzione dell’osservazione perché questa divenisse un elemento d’ordine capace di permettere l’approccio ad un campo sferico la cui vastità dimensionale e di direzioni sarebbe insostenibile.
Nella scienza della conoscenza del mondo (Gestaltung) prima della vista viene il tatto e ancora l’odorato.
La comunicazione tra il mondo e noi passa attraverso la sensibilità del tatto come emozione profonda e primaria. Prima tocco e sento, poi vedo e leggo. Questo imperativo e questa successione gerarchica diventa una chiave insopprimibile per l’approccio all’oggetto pittorico di W.B..
La gestualità che è alla base del suo comporre è legge guidata dalla materia dell’istinto tattile e dalla critica tattile prima che dall’apporto di verifica che possa seguire la vista.
Ma il gesto che cercheremo di seguire nel suo farsi più reale non è movimento solo dell’arto o impulso di raziocinio ma è il risultato di un interscambio fra la qualità della materia adoperata (qualità tattile) e l’azione materiale del suo essere portata sulla tela. È diverso il modo con cui il colore venga riposto, o lanciato, o premuto, o pennellato, sul supporto a seconda certo dell’istinto espressivo del momento, ma questo condizionato, “guidato” dall’essenza materica del colore stesso. La fredda vischiosità dell’acrilico, manipolato direttamente dalla mano prima di essere plasmato sul fondo, o gli impasti con sabbia la cui granulosità impone come un rotolio delle particelle inerti sulla tela, o la china fredda e lucida che scivola a far perle di luce nera scappando tra i peli del pennello, o le dita della mano, propongono l’andamento dei gesti e intervengono a guidare la gestualità stessa.
Questo scambio terribile e così parte sostanziale di questi dipinti è talmente vero e presente da diventare un elemento imprescindibile dalla rappresentazione finale ma che, anche nell’osservatore si fa così aggressiva da riproporre in senso inverso il processo del suo farsi.
I segni cioè, che pur si legano nella composizione obbligata e nell’interazione globale, appaiono come galleggiare in strati diversi distanziandosi nel tempo a riecheggiare le fasi del suo farsi così che gli atti, le azioni, i gesti, sono così leggibili ad uno ad uno, ciascuno portando nel contenuto del magma globale la carica spirituale della puntuale energia creativa di ogni singolo momento costruttivo.
I quadri di W.B. sono simboli del suo procedere nell’appropriarsi della realtà e della memoria con cui la codifica. Benché diventi impossibile e inane alla critica il processo di decodificazione dell’oggetto pittorico ripercorrendo il cammino delle sollecitazioni spirituali che sono state alla base della sua costruzione, diventa interessante comprendere il processo del passaggio dalle sollecitazioni dei luoghi e dei momenti sino alla decantazione sotto forma di verità pittorica.
Il processo che per altri pittori è soprattutto un esercizio di astrazione figurativa e compositiva per tradurre lo stimolo subito da una visione puntuale nella verità più universale dell’oggetto pittorico, in W.B. subisce una fase di decantazione a livello della memoria.
Luogo, forme, luci, colori, ma anche profumi o senso del freddo o il vento o le stesse sollecitudini emotive possono diventare un bagaglio decontestualizzato capace di innescare il processo di aggressione del quadro per un travaso delle situazioni sperimentate.
Nasce cioè un processo di rilettura, attraverso la lente deformante della memoria, della significazione emozionale del sito e del momento che può essere riproposto nella interpretazione dei fenomeni non descrittivi ma riproducenti il carattere e la precipuità del senso e del genius del luogo di riferimento e l’animo con cui è stato colto.
Il quadro allora racconta non le cose, oggetto della visione, ma il rapporto tra di esse, lo stato di tensione, il senso con cui l’animo si è rapportato ad esse (gioia, esaltazione, tristezza) e che la memoria reimmette nel processo di evocazione e ispirazione alla pittura.
Un fatto singolare, è che il suo ripetersi assume valore di distinzione, è il rapporto dicotomico con cui l’osservatore si appropria della pittura.
Il contrasto è tra il senso di profondità aggredibile che si manifesta nella composizione al punto da sembrare non solo di consentire ma di promuovere il processo d’ingresso e di sprofondamento nel suo spazio intimo. I vuoti che appaiono tra le masse, la luce che sfocia tra le masse aperte del colore, la profondità dei varchi in rapporto alla immediatezza dei lembi carnosi posti sul primo piano, tutto sembra concedere e suggerire la violenza della penetrazione.
Ma vi è un movimento di rottura di questo incantesimo che si manifesta come ostacolo, come diaframma insuperabile e che, così leggero come di solito si compone, appare quasi all’ultimo momento quando cioè lo stato di tensione sembrava già aver fatto alzare il piede nell’atto dell’ingredere. È appunto quello il momento in cui appare, davanti al quadro, una vetrata che si frappone a schermo fra noi e la pittura.
Cioè il convivere , sulla composizione pittorica della masse e dei colori, di una ragnatela, puri segni galleggianti, senza profondità prospettica ma solo tesi complanarmente, come appunto tracciati su un lastra vetrata come nei lavori paralleli dell’artista, a formare un diaframma alternativo.
Il fenomeno della compresenza di questa doppia presenza pittorica, una di fondo e una galleggiante attiva un rapporto spaziale con l’osservatore di interesse particolare. Il quadro manifesta la sua forza energetica alla distanza prossemica che gli compete. Da quella distanza le forme, le forme, i colori , le masse giocano il loro rapporto di forza e di poesia legato alla dimensione unitaria. Avvicinandomi via via sin che il viso si fa sotto alla pittura, la presenza del reticolo di galleggiamento sovrapposto assume valore fortissimo sia per la descrizione minuta delle sue presenze grafiche e segniche ma soprattutto come effetto barriera, sino al punto che l’osservatore s’accorge che sta origliando al di qua della griglia per curiosare in profondità entro i vuoti “divenuti inaccessibili” della composizione pittorica.
Un elemento comune nella produzione pittorica di W.B. è l’assoluta leggibilità a lavoro finito, del modo con cui avvenuto il fare e il costruire la superficie del quadro. La gestualità della mano nell’ impeto di generare una forma, che sia essa rotatoria o direzionata, si traduce realmente nell’orientamento della pittura stessa. L’opera porta quindi in sé tanto del fare artistico che diventa la figurazione stessa del mecanismo antropomorfo (busto, spalla, braccio, polso, mano, dita), unico del suo genere, il quadro quindi ha l’orientamento stesso della figura umana che l’ha prodotto e diventa proponibile il gioco critico con cui a volte si verifica la perfezione indifferente alla giacitura dell’arte astratta.
Ogni segno, ogni colore ed ogni forma diventano, appena gettati sul supporto, entità reali con le quali la pittrice stessa deve continuamente fare i conti.
Carta. Tela. Dita. Pennelli. China. Acrilico. Sabbie. Cellophanne. Paste d’oro. Matite. Colori a cera. Gel. Scotch. Cuki. Carte d’orate. Fil di ferro. Pietre……………………
La presenza di elementi matrici cosi diversa è dovuta alla legge che regola la comparsa nell’opera della stratificazione di forme e segno con cui si fa struttura mantenendo, grazie alla puntualità della propria forma e della propria materia, struttura autonoma all’interno della composizione.
Avviene cioè che ogni gesto successivo di aggressione al quadro diventi impulso energetico riconoscibile e chiuso in se stesso, per permettere alla fine, attraverso una trasparenza magica, reale e immaginativa, la lettura entro l’unità finale di componenti autonome finite in se stesse. Via via il quadro si completa fino all’ultimo apporto (carta manipolata o lembo d’argento) per terminare con la conclusione del trauma gestuale. La chiosa è l’ultimo brivido. Il segno della croce o dello yony chiude il dramma e prepara l’estasi.
Identità
SEGNO che esprime
e che contiene.
SEGNO che delimita
e che origina SEGNI.
SEGNO al di fuori
di ogni schema.
SEGNO che rompe
il quadrato,
e che si snoda
oltre schemi precostituiti
li deride
li adula,
e si allontana, rapido,
per creare più oltre
nuovi schemi.
(W.B. ’91)
Il modus pittorico di W.B. sembra aver assorbito e trasformato in un processo di costruzione delle tensioni interne alla pittura stati significativi della grande disciplina. Ripercorrendo alcuni autori, dopo l’esperienza di conoscenza della sua pittura appaiono riconoscibili momenti con analoghe finalità di tensione pittorica. Il quadro “Laocoonte” di El Greco ad esempio, riletto in parallelo alle pitture di W.B. sembra presentarci una serie di referenze quali la sovrapposizione stratigrafica ( lo spazio colmo di nubi, la città, le rocce, la presenza umana), il colore adoperato per masse dotate di propria autonomia (il nero connettivo, la presenza della luce come affioramento dal fondo ( le nuvole ma anche i corpi umani) e soprattutto la griglia in primo piano che sovrapponendosi come disegnata su una vetrofania antistante (il segno dei serpenti) ferma l’osservatore ad una distanza giusta e lo spinge a guardare oltre verso il fondo lontano.
Vale anche la pena di verificare la possibile referenza verso una generazione di astrattisti per alcune risonanze con personaggi come Kandinsky, de Kooning, Capogrossi. Ma è subito da operare un distinguo netto che non solo attiene le modalità di costruzione della pittura ma che alla fine generano la diversità dei risultati. Negli autori citati l’insieme compositivo forme, colori, spazi, segni, muovendosi liberamente seguono una legge compositiva d’ordine che fa delle loro pitture un insieme programmato, rigoroso e raziocinante. A fronte di tale regola di equilibrio formale la pittura di W.B. mostra la propria qualità precipua nel valore del segno come evento gestuale primario. Se il risultato finale raggiunge un equilibrio, questo è dovuto ad una saturazione algebrica delle tensioni e delle energie ma non per calcolo di un equilibrio delle forme.
Pollock invece può essere citato come referente alla tensione gestuale nella stesura delle masse colorate e nell’apporto diretto gestuale con cui le fasi di costruzione del quadro sembrano essersi avverate.
Se tentassimo di individuare come minimo comune multiplo nell’opera pittorica di W.B. la presenza forte di una forma vitale, dovremmo verificare in che spazio si sviluppa e di che energia sia animata. Avviene allora che si tenti di catalogare il tipo e il carattere della qualità di tale energia per capire quanto in essa vi sia di permanente e quanto in continua evoluzione. Si riscontra così il senso di una continua evoluzione.si riscontra cosi il senso di una continua diversità nelle tensioni energetiche che di volta in volta assumono specificità diverse e sempre alternative. Inutile ricercare gli aggettivi ma è inevitabile che per ogni quadro si possa riconoscere come gli eventi energetici che animano lo spazio siano di volta in volta riconoscibili e catalogabili secondo proprie accezioni assolute.
Come traccia esplicativa di tale punto basti citare la evidente differenza delle pitture l’”Adieu”, la “Fornace”, “Tramonto in laguna”, e “Rouge e Noir 3°”. La ricerca della spazio, presente in tutte e quattro le opere, si carica di sostanza energetica in modi completamente diversi. Mentre in l’”Adieu” l’energia è eolica (tutti gli elementi sono sconvolti dal vento), in “Fornace 3” l’energia è meccanica (i corpi di materia sono soggetti ad una tensione in accumulo che sembra far tentare il verificarsi di uno scatto meccanico di ogni componente come in un ingranaggio), in “Tramonto in laguna” la tensione energetica è come spostata sul piano di fondo, mentre in “Rouge et Noir” l’energia appare come allo stato liquido.
A contribuire alla continuità evolutiva pittorica nelle opere di W.B. sono le attività parallele nella vetrartistica, nella scultura e nella poesia. È impossibile ricostruire i rapporti di scambio che agiscono nelle diverse esperienze disciplinari ma è certo come sia riscontrabile la mancanza di ricerca energetica in quest’ultime,.mentre la pittura è tumultuosa , sino a caricarsi di vita propria per le energie che la animano, le sculture e le vetrate sono assolutamente statiche sino a divenire iconiche.
Mentre la ricerca del campo energetico avviene in pittura, segno e conoscenza dei materiali avviene in altra sede. La vetrata diviene quella superficie graffiata e segnata che si porrà solo a galleggiare sulla pittura senza rifluirsi dentro, mentre le sculture sono lo strumento conoscitivo delle materie naturali ed artificiali (quali rocce, ferro, vetro). E le poesie non sono lo strumento letterario fine a se stesso ma sono prefazione fonetica per ricordare la pittrice nel tempo la carica spirituale e intellettuale che s’appresta a far colare nella sua pittura. Solo l’esempio di “Tramonto in laguna (Venezia 3°)”. L’intensità della scritta Venice, in alto , soprattutto, col carattere calligrafico identifica non solo il luogo ma lo stato d’animo che la memoria conserva e la mano traduce nella pittura il contenuto di quiete e di ferita lancinante con cui l’opera si chiude.
Come alga affiorante,
emerge ora
dal foglio,
l’ultima composizione….
Coinvolgente,
come l’attacco improvviso
di un concerto per organo
in una Chiesa deserta.
Unica,
come un figlio
appena partorito.
Inconfutabile
come la morte.
(W.B. ’92)